Fragile equilibrio

27 e 28 luglio 2020, ore 21:30 – Fortezza Vecchia, Livorno

Regia di Guillermo García López. 
Titolo originale: Frágil Equilibrio.
Documentario, Spagna – 2016, 83 minuti.

Due colletti bianchi a Tokyo si interrogano sul senso della loro vita, risucchiata dal lavoro. Un disoccupato spagnolo di mezz’età racconta come ha perso rapidissimamente reddito e casa a seguito della crisi economica del 2004. Un gruppo di migranti africani staziona nel campo del Monte Gururù in Marocco, nella speranza di entrare prima o poi in Europa. A fare da cerniera tra questi tre contesti, lontani tra di loro ma accomunati dalla negazione del rispetto per la vita umana, le riflessioni sociopolitiche di José “Pepe” Mujica (Montevideo, 1935). 

L’ex presidente dell’Uruguay, intervistato a casa sua, invita a prendere coscienza e ad agire contro le disuguaglianze eclatanti nella ridistribuzione della ricchezza, la mancanza di tempo nelle esistenze individuali, le conseguenze della globalizzazione (“noi pensiamo che la sfortuna dell’Africa sia un problema degli africani. No, lo è del mondo”). A cui corrisponde una imbarazzante carenza di azioni correttive, virtuose e lungimiranti da parte dei governi nazionali. 

Il film ha preso le mosse dall’impatto sul regista del discorso di Mujica all’ONU del 2013 – largamente condiviso sui social e ripreso parzialmente anche in Human di Yann Arthus-Bertrand. In quell’occasione l’ex tupamaro aveva mosso le sue critiche costruttive al modello di sviluppo e consumo occidentali, spingendo a riflettere sullo sfruttamento del pianeta e sulla rivalutazione del tempo vitale, concludendo con: “il primo elemento dell’ambiente si chiama felicità umana”. Una base teorico filosofica cui si è ispirato anche Pepe Mujica – Una vita suprema di Emir Kusturica, fuori concorso in Orizzonti alla Mostra di Venezia nel 2018.  

In Fragile equilibrio l’impressione è che la disponibilità di Mujica verso il regista sia stata superiore alle attese, tanto è vero che le sue parole guidano tutto il film, salvo brevi pause di respiro fatte di sequenze descrittive di paesaggi e quadri eleganti di complesse architetture metropolitane e routine degli spostamenti di lavoratori e pendolari. Mentre la voice over si inoltra in ragionamenti molto concreti e puntuali su crescita sostenibile, effetti sociali della tirannide del mercato, domande sul futuro, richiamo alla solidarietà sociale, rapporto corrotto tra consumo e produzione a scapito della dignità, scorrono le immagini di location riprese tra Giappone, Messico, Hong Kong, Stati Uniti, Spagna, Cile e Grand Bretagna. 

Il messaggio socialista, umanista e anticonsumista insomma domina gli altri elementi della messa in scena, il rapporto è sbilanciato a favore del narratore carismatico e d’eccezione. Al regista esordiente si possono attribuire invece tutte le scene di “re-enactement” delle tre situazioni sopra elencate, cioè le riprese di dialoghi in cui i protagonisti reali riportano a favore di macchina le loro vicende reali; in particolare quelle di ambientazione giapponese e spagnola. 

Mentre più spontanee appaiono le sequenze nel campo a ridosso della barriera di Melilla, la sconcertante fortificazione militarizzata tramite cui la Spagna respinge gli ingressi umani dall’Africa. Si impongono per terribilità alcune immagini, non a caso raccolte in maniera più estemporanea e furtiva: le irruzioni della polizia spagnola antisommossa incaricata di far evacuare gli sfrattati, i loro averi e mobili accatastati in strada; l’interno di una macchina che è diventata casa per un uomo che ha perso tutto; e in particolare, quello stacco di montaggio che svela il significato bivalente che può assumere una semplice scarpa sportiva: status symbol in vetrina, ennesimo acquisto superfluo di un prosumer (sintesi di produttore e consumatore, in un’illusione di felicità), oppure espediente “truccato” per scalare una gabbia, in cerca di una possibilità, in fuga dalla povertà. Tutto dipende dal luogo in cui ci è stato dato di nascere.

Raffaella Giancristofaro – mymovies.it